Alcuni numeri per riflettere: il melanoma ha presentato negli ultimi 30 anni un incremento esponenziale del 237% di diagnosi! E' il tumore che nel maschio si è maggiormente incrementato al mondo (il secondo nella donna dopo quello della mammella). Negli ultimi 10 anni in Italia i casi sono più che raddoppiati! Già nel febbraio 2001 in occasione del 1° Congresso mondiale di Dermatoscopia a Roma approvammo un documento finale in cui provocatoriamente si parlava di "Epidemia di Melanoma".

Oggi in Italia si registrano ogni anno 12000 nuovi casi e 1500 decessi per melanoma, che significano 1000 nuovi casi e circa 130 morti al mese. Che il melanoma maligno della cute sia in forte aumento in tutto il mondo occidentale è ormai un dato certo e consolidato, confermato da tutte le osservazioni epidemiologiche svolte negli ultimi anni. E' cresciuta sostanzialmente la morbilità da melanoma (vale a dire il numero di diagnosi di nuovi casi/anno) mentre la mortalità è rimasta invariata in alcune statistiche, calata in altre. In altre parole, oggi ci si ammala di più ma si muore di meno per melanoma. Perché? L'impennata delle diagnosi cliniche è sicuramente dovuta a ragioni contingenti legate soprattutto al fatto che la gente, anche il contadino meno istruito, quando si scopre qualcosa di anomalo sulla propria cute va a farsi visitare dal medico evitando di incorrere nelle superficiali trascuratezze di un tempo. Ma le diagnosi aumentano in modo assoluto perché l'esposizione solare imprudente e scriteriata degli ultimi decenni "sta presentando il conto". Infatti esiste una vera e propria memoria del danno cutaneo da foto-invecchiamento, con sommazione nel tempo di tutti i cataboliti e radicali tossici indotti dai raggi ultravioletti sulle cellule del nostro corpo, fino alla comparsa del danno irreparabile e conclamato. Il meccanismo alquanto articolato e complesso del danno cellulare è stato da me sintetizzato nel post sul mio sito web intitolato "storia naturale dei tumori" al quale invio per un eventuale approfondimento. Fino alla metà degli anni 90 non esisteva di fatto la cultura della protezione solare. In modo particolare le donne usavano addirittura fabbricarsi in casa i loro super-abbronzanti (tanning intensificators) nell'assurda gara di riuscire ad avere il colore della pelle più scuro di quello dell'amica del cuore o della vicina di casa nel più breve tempo possibile (è stata recentemente creata per questa mania la definizione di tannoressiche). E così giù a comprare gli estratti oleosi più gettonati, a base di oli di mandorle, bergamotto, carote ecc. il tutto amplificato da un bello specchio solare.... Dal 1995-96 in poi, quando i giornali e la televisione cominciarono ad essere sempre più martellanti sugli appena scoperti buchi di ozono e sull'incremento dei rischi da radiazione solare, e quando noi stessi, addetti ai lavori, cominciammo a denunciare il preoccupante incremento di casi di tumori della pelle, la gente iniziò timidamente e a piccoli passi ad acquisire la coscienza del danno da foto-invecchiamento e ad acquistare di conseguenza le prime creme per la protezione solare. Ma molto timidamente, ripeto: protezione 3 e protezione 6 erano il limite oltre il quale generalmente non si aveva intenzione di andare. Quella che avesse osato acquistare una crema con fattore di protezione 9 o 10 si sarebbe sentita subito colpevolizzata dall'amica di turno: "protezione 10, e quando ti abbronzerai? Hai perso un'estate di tempo".

A questo tipo di danno solare - per così dire da esposizione diretta - va sommato l'effetto deleterio delle lampade abbronzanti oggi paragonato al fumo di sigaretta per il loro perverso meccanismo di sommazione del danno nel tempo: tanto più significativo quanto più giovane è l'età di inizio dell'esposizione e quindi il numero di anni di accumulo del danno stesso. Ciò ha determinato finalmente la disposizione legislativa del divieto di "lampadarsi" per i minori di 18 anni, divieto imposto in tutto il mondo occidentale. Soltanto dopo il 2000, cioè praticamente da ieri mattina, sono diventate significative le vendite di creme solari con fattore di protezione fra 20 e 50, che sono spesso le più indicate soprattutto all'inizio di stagione e sulle pelli più giovani. Tutto ciò ha contribuito a creare le condizioni per cui è legittimo aspettarsi un trend di incidenza dei tumori della cute ancora in crescita almeno per i prossimi 10 anni, dopo di che finalmente potremo raccogliere i frutti della maturata coscienza foto-protettiva. Ma perché allora, nonostante tutto ciò, si muore meno di melanoma? La risposta sta non tanto nelle più affinate armi terapeutiche (che anzi a mio avviso sono cambiate poco negli ultimi decenni) quanto piuttosto nella assai migliorata capacità diagnostica dei medici, grazie anche a strumentazioni sempre più sensibili e sofisticate, e nel più precoce ed anticipato tempo della prima diagnosi rispetto al passato. La precocità diagnostica è sicuramente un fattore cardine nel successo contro tutti i tumori, compreso ovviamente il melanoma cutaneo. Pertanto è la tempestività diagnostica, legata ad appropriate misure di prevenzione, l'arma vincente che ci permetta di avere prevalenti diagnosi di melanomi in situ e di melanomi sottili, a discapito di melanomi di spessore superiore a 0,75 mm, soglia al di la della quale sicuramente le strategie terapeutiche e l'aspettativa di vita cambiano radicalmente.