Pensieri e parole....


Tutti hanno la stessa quantità di ghiaccio: solo che il ricco l'ha d'estate, il povero d'inverno.....

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Felicità

Nel parlare comune s'intende per felicità un'esperienza intensa, esaltante e profondamente soddisfacente anche se nella maggior parte dei casi di durata limitata nel tempo. Esiste in ciascuno di noi, personale come la nostra coscienza, il desiderio intrinseco di ricercare la felicità. Essendo legata al concetto stesso dell'Io e della coscienza, se ne può dedurre che la felicità sia un sentimento cosciente ovvero una disposizione d'animo propria del genere umano, non condivisibile dall'animale. Tuttavia la felicità è valutata in maniera strettamente soggettiva da ogni uomo e pertanto può essere legata per ciascuno di noi a situazioni anche completamente diverse; per taluni può essere la consapevolezza della buona salute, per altri il successo, la ricchezza; per altri ancora lo star bene col proprio Io o semplicemente una tazza di cioccolato davanti al caminetto acceso. In altri termini la felicità è sicuramente un stato d'animo soggettivo che scaturisce dal raggiungimento di un'esperienza strettamente personale.

Come ad uno stato d'animo consapevole e talora fugacemente raggiunto tutti anelano alla felicità, della quale si sono occupati i filosofi fin dai tempi più remoti; tuttavia bisogna aspettare il 1776 con la Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America per trovare riconosciuta la ricerca della felicità, insieme alla vita e alla libertà, come diritti inalienabili di ciascun essere umano. Ma poi esiste davvero la felicità?

I bambini ritengono che la felicità sia un sentimento proprio degli adulti, mentre questi ultimi sono convinti che appartenga solo al mondo dell'infanzia innocente. Gli antichi ritenevano che la felicità non è dell'uomo mentre vive, ma è uno stato raggiungibile solo dopo la morte: solo i morti sarebbero finalmente felici. Solone ammoniva Creso, re di Lidia e uomo più ricco del mondo che lo interrogava se poteva considerarsi felice, ricordandogli che di un uomo non si può mai dire che è felice finché è in vita, ma semmai solo che è fortunato; perché gli Déi prima lo possono esaltare fino alle stelle e poi annientare nella polvere. E quando - sconfitto e spodestato dal re persiano Ciro - sta per bruciare legato al rogo del vincitore, Creso si ricorderà allora delle parole del filosofo Solone: la vita è per tutti una ruota, "esti kuklos ton antropeion pregmaton", vi è un ciclo delle cose umane! Tutto questo avveniva nel VI secolo a.C. mentre in Oriente Buddha diceva più o meno le stesse cose contemporaneamente; e come non trovare più tardi lo stesso spirito nei "corsi e ricorsi storici" di G.B. Vico o nel più semplicistico "a vita è 'na ruota" della filosofia spicciola di Pulcinella?

In conclusione se esista o no la felicità nessuno può averne certezza, tuttavia è legittimo che ciascuno provi a ricercarla dentro di sé come legittima, personale, soggettiva ed esclusiva esperienza non cedibile ad altri.

Quanto alla mia personalissima opinione, sono fermamente convinto che per essere felici occorrono tre condizioni essenziali: possedere una salute di ferro, avere un conto in banca sufficientemente ricco, ed essere un poco idioti; ma senza quest'ultima condizione le prime due da sole non sono assolutamente sufficienti.

Salvatore Romano

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Molti perdono la salute per fare soldi,

e poi perdono i soldi per recuperare la salute.

Vivono come se non dovessero mai morire,

e muoiono come se non avessero mai vissuto.

(Riflessioni dell'amico Roberto Canepa)

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Cosa ne sarebbe della felicità dei ricchi ......... senza l'invidia dei poveri?

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Sul significato teleologico della malattia......

Fatti di cronaca quali il tragico terremoto a S. Giuliano in Puglia riproposero un tema frequentemente toccato dalla gente comune: con tutti i fatiscenti ospizi di vecchi perché il buon Dio ha fatto andar giù proprio una scuola di bambini innocenti?Domande molto simili sono: perché Dio consente che si ammalino e muoiano i bambini, anche piccolissimi? Perché le malattie sembrano colpire i più buoni e gli innocenti, e quasi mai i malvagi?

Noi non possiamo sapere perché il buon Dio abbia permesso che un'intera classe di angioletti venisse sepolta sotto le macerie della loro scuola, semplicemente perché non ci è dato di conoscere il disegno divino né le prove che ci attendono in questa vita. Tuttavia il problema è un altro. Dio non manda malattie o castighi, né le malattie hanno o possono assumere il significato di castighi divini. Le malattie fanno parte della nostra natura terrena, che è caduca, corruttibile ed imperfetta e come tale può andare incontro o rivelare in qualsiasi momento difetti di qualsiasi genere, cioè malattie.

Che la malattia derivi da castigo divino è un'erronea convinzione che l'Uomo trascina dai tempi delle caverne, quando non aveva alcuna conoscenza scientifica ma solo il sospetto che qualsiasi cosa di bene o di male gli potesse capitare derivasse necessariamente dal volere degli déi e degli spiriti, o comunque sempre dall'azione di qualcosa di soprannaturale ed invisibile cui attribuire la responsabilità. Questo atavico convincimento l'Uomo è riuscito a trascinarselo fino ad oggi, continuando ad attribuire alla malattia un significato teleologico catartico di purificazione dal male, che semplicemente la malattia non ha e non può avere. La malattia rimane tale, cioè un guasto ad un sistema (il nostro corpo) per sua natura vulnerabile e guastabile in qualsiasi momento, a qualunque età e per qualunque ragione indipendentemente dalla fedina penale o dalla bontà d'animo del malato. Perciò può ammalarsi l'agnello quanto il lupo, la pecora come il giaguaro. Piuttosto è questo falso concetto teleologico della malattia che ci fa ricordare il male soprattutto quando colpisce un giovane o un innocente.

I terremoti, gli uragani, le devastazioni e le malattie fisiche fanno parte dello scenario fisiologico di questa Terra; se andiamo ad approfondire questi concetti comprendiamo che tutto è necessario, anche la morte. Persino il cancro fa parte del quadro della vita e della sua Evoluzione; infatti la vita sulla Terra si è evoluta grazie alle mutazioni, intercorse spesso spontaneamente nel ripetersi infinito delle generazioni. Ed il cancro, che altro non è se non una fatale mutazione, fa parte del gioco mutazionale dell'Evoluzione, di cui rappresenta un deprecabile incidente di percorso; senza le mutazioni infatti noi saremmo ancora amebe oppure alghe unicellulari....

Allora Dio che ci sta a fare? Dio è presente nell'ordine delle cose che ha voluto e creato liberamente e può talora intervenire sui nostri mali e sulle nostre malattie attraverso l'intercessione dei suoi Santi: ma questa è un'altra storia di cui magari ci occuperemo un'altra volta.

Salvatore Romano

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Zerbini con la laurea.....

A volte penso che devo proprio amarlo tanto il mio lavoro se mi ostino a fare il medico con instancabile convinzione. Eppure mi domando se i pazienti sono coloro che si accomodano al di là della scrivania, o piuttosto non sono quelli che stanno seduti al di qua, vestiti in camice bianco. La medicina generale è probabilmente la cosa che funziona meglio nel servizio sanitario; non lo dico io, lo dice la gente, dal momento che i sondaggi evidenziano un gradimento del proprio medico di famiglia intorno allo 80% delle persone intervistate. Ciò nonostante il medico di famiglia appare sempre più stanco e demotivato. Io credo che questo dipenda da molti fattori, che messi tutti insieme diventano una miscela esplosiva per la nostra professione.

Intanto la necessità di tenersi aggiornati e preparati; l'aggiornamento non è mai stato un optional per il medico, ma adesso è diventato un obbligo impellente che ci travolge e ci stressa. Per renderlo ancora più stressante ci siamo inventati la raccolta a punti con scadenza a tempo: è un'offesa all'intelligenza. D'altra parte però il medico non può più permettersi né di non sapere né di non saper fare. Nella competizione quotidiana della nostra giornata di lavoro non c'è spazio per negligenze di alcun tipo. E la sensazione soggettiva non è più quella di sentirsi un professionista motivato e appassionato, ma un sorvegliato speciale che ogni sera sente di aver superato un altro esame, quello che stabilisce l'adeguatezza del proprio lavoro al livello richiesto dal sistema. Ma il sistema chiede sempre di più e sempre di meglio, e lo chiede innanzitutto al medico di famiglia, che è il primo col quale il malato si confronta e si confida nel percorso del servizio sanitario. Già, .... il servizio sanitario, di fatto un servizio a domanda infinita ma a risorse finite, come da sempre vado ripetendo. Quando offriva 10 la gente chiedeva 15, quando fu in grado di offrire 20 la domanda era intanto passata a 30, ora che offre 100 la gente chiede 150 ma le risorse non sono infinite. Tuttavia la verifica sul nostro operato è sostanzialmente sempre di tipo burocratico/amministrativo e questo probabilmente ci avvilisce ancora di più; se sbagliamo una diagnosi è colpa grave, ma se sbagliamo un timbro o l'applicazione di una legge è colpa gravissima. Quando mi laureai, oltre 40 anni fa, ero convinto di dover usare guanti e camice per non sporcarmi di sangue e di disinfettanti; oggi la mia preoccupazione è non sporcami d'inchiostro per timbri. E quando torno a casa, nonostante tutta l'attenzione che ci abbia potuto mettere, le mie mani sono sporche d'inchiostro per timbri più di quelle del mio vicino di casa, che fa l'impiegato all'ufficio postale. Anche lui da 40 anni.

La gente: è il rapporto con la gente il vero nocciolo del problema, quello che un tempo si chiamava rapporto medico/paziente, mentre adesso non so più come dovrebbe chiamarsi. Cambiare medico è troppo facile, tanto facile che bastano dieci secondi. Questo costituisce un'infallibile arma di ricatto nella nostra professione in mano a quanti - e sono ahimè molti - vogliono e considerano il loro medico una sorta di schiavetto che assecondi ogni loro esigenza legittima e non. "Non fai quello che dico", "non mi dai quello che voglio" ed io cambio medico: tanto sicuramente ne troverò un altro più disposto. Di questo la colpa è anche nostra, innanzitutto perché sindacalmente abbiamo accettato disinvolte procedure per il cambio del medico di famiglia in nome della libertà ad ogni costo (anche a costo della nostra dignità professionale); e poi perché per assicurarci uno stipendio dignitoso abbiamo bisogno di raccogliere almeno 1000 pazienti, per corteggiare i quali molti di noi sono disposti anche a qualche concessione deontologicamente scorretta. E' proprio vero che homo homini lupus, sed medicus medici lupissimus! Mi ricordo sempre di quel mio paziente di Rapallo affetto da epilessia onirica, ben nota a tutti e diagnosticata a più livelli specialistici, al quale io mi ero rifiutato di consegnare un certificato anamnestico per la patente di guida che compiacentemente tacesse il problema (erano gli anni in cui il famoso certificato era indispensabile per il rinnovo della patente); ebbene per quel rifiuto persi ovviamente il paziente, il quale cambiò disinvoltamente medico ottenendo la certificazione necessaria sicuramente da un altro collega, dal momento che in auto lo vedo girare ancora adesso.

Ma forse un'altra causa del problema sta nel fatto che il medico di famiglia è completamente gratuito; ciò che non si paga viene generalmente percepito come qualcosa che vale poco! Comprendo che l'accesso al proprio medico si vorrebbe il più ampio, totale e disponibile possibile; ma questo non deve tradursi in un deprezzamento della professionalità e del lavoro. Se cominciassimo a regolamentare gli abusi, magari imponendo limiti e disciplina soprattutto alle consultazioni telefoniche e alle visite domiciliari (due tipologie di accessi che non possono essere regolate da appuntamento) otterremmo una razionalizzazione del nostro lavoro a netto vantaggio del servizio offerto. Certamente non come adesso che vedo le mie visite in ambulatorio interrotte quotidianamente da una pioggia di telefonate spesso per le cose più assurde. Possibile che chi ricorre alla consultazione telefonica non si renda conto che in quel momento il medico sta visitando un paziente? Pertanto domandare se nel sugo possiamo metterci l'aglio piuttosto che il peperoncino forse non è il momento opportuno: facciamoci un appunto, e glielo domanderemo in occasione della prossima visita in ambulatorio, insieme a tutte le altre cazzate per le quali bramiamo chiarimenti. Né d'altra parte risulta molto utile alla salute delle mie ghiandole surrenali imporre alla segretaria una funzione di filtro delle telefonate, dal momento che queste vengono semplicemente spostate di qualche decina di minuti, ma inesorabilmente giammai evitate. E che dire delle visite domiciliari, una prassi lungamente e diffusamente abusata, che costringe un professionista a recarsi al domicilio di un suo assistito per semplice chiamata, il più delle volte motivata solo dalla indisponibilità psicologica del paziente a muoversi di casa?! Altra frustrazione professionale che andrebbe risolta con un'appropriata regolamentazione; che c'è, ma di fatto non c'è.

Ma la peggiore causa di demotivazione nella nostra professione è il pseudo-indottrinamento sanitario che ha contagiato tutti i pazienti. Discorsi come: "dottore, mi faccia fare la risonanza magnetica chè ho da stamattina il mal di testa e potrebbe essere un meningioma" oppure discorsi come: "dottore io mi sento bene, ma Mirabella ha detto che per essere sicuro devo farmi una TAC spirale ogni anno, la PET, la ecoflussimetria doppler di tutte le arterie di sopra e di sotto, l'ecografia di tutto, la colonscopia, la mammografia, e già che c'è anche l'ecografia transrettale della prostata che non dovrei avere ma che potrebbe essermi spuntata come a quella donna cinese pubblicata sulla rivista Lancetta o che so io", ebbene discorsi come questi me li sento fare ogni lunedì ed ogni altro giorno della settimana. Avvilito, sono mesi che in studio campeggia un cartello in cui diffido chiunque a pretendere a voce esami o ricette suggerite dal salumaio di fiducia o dalla parrucchiera che "tuttosaetuttoindovina". Risultato? Ora il salumaio mi fa avere i suoi suggerimenti scritti su biglietto da visita del negozio, spesso con qualche unto di mortadella sul bordo, probabilmente il suo imprimatur.

L'informazione sanitaria fa odiens, il sensazionalismo sanitario ne fa ancora di più; ed ecco il fiorire di trasmissioni pseudo-scientifiche di ogni tipo e per ogni orecchio, sapientemente benedette dalla presenza di questo o quell'altro Solone della medicina pronto a dispensare saggezza e scienza in pillole in cambio di compiacente pubblicità personale. Il tutto per giunta condito da un'informazione epistolare, scritta sotto forma di enciclopedie, opuscoli, manualetti, articoli, articoletti, articolini, false pubblicità mascherate da scoop ecc. ecc. che hanno dato alla gente l'erronea convinzione di un acculturamento medico di tutto rispetto. Un Paese che ha ancora il 10 % di analfabeti e semi-analfabeti e soprattutto un livello medio di scolarizzazione da far rabbrividire i somari dell'Asinara, ha paradossalmente 50 milioni di para-laureati in medicina come quella madre che uscendo dall'ambulatorio disse: "il dosaggio poi lo cambio io, che conosco mio figlio".

E poi che dire delle ricette da € 50.000 in base al D.L. di Sirchia? "Dottore, mi scriva 16 scatole di Aulin, ma mi raccomando, ci scriva anche nota 66 se no il farmacista me le fa pagare, mica scherziamo?" Oppure, "Dottore, mi faccia rifare tutti gli esami, ma proprio tutti, anche se li ho fatti 2 mesi fa perché avevo il colesterolo sopra i 200 ed io ci ho un brutto preservativo!" (forse voleva dire presentimento, n.d.r.). Oppure ancora: "Dottore, mi scriva il Rocefin per Arturo (Arturo è il gatto, n.d.r.), ma non si scordi di metterci la nota se no il farmacista mi rimanda indietro un'altra volta" della serie rincoglionito di un medico, cerca di darti una mossa, che non ho voglia di perdere tempo e camminare per niente!".

Il medico zerbino, ecco cosa certa gente cerca: ed il sistema è dichiaratamente strutturato in modo che la richiesta venga agevolmente esaudita! Ebbene, lo confesso, ancora una volta vado contro-corrente perché la mia dignità professionale si ribella: mi dispiace, ma io non sono disposto ad andare a lavare i vetri ai miei pazienti!

Articolo pubblicato su "Genova Medica" (Organo Uff. dell'Ordine dei Medici della Provincia di Genova) n° 6 - giugno 2003